BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA'


L’allotropia dell’azoto come accumulatore di energia
Diego Tesauro
L’allotropia (dal greco άλλος altro, e τρόπος modo) è una caratteristica che indica la proprietà degli elementi chimici di esistere in diverse forme per caratteristiche fisiche (colore, sistema di cristallizzazione) o anche chimiche (reattività) causate specificamente dalla struttura del legame chimico esistente fra gli atomi dell’elemento. Il termine è stato utilizzato per la prima volta dal chimico svedese Jöns Jacob Berzelius. La rilevanza di questa proprietà, forse unico caso, ha permesso di estendere il termine dalla chimica alla linguistica, per cui Il termine allotropi indica due o più parole che, pur essendo diverse nel significato sul piano formale e semantico, hanno il medesimo etimo.
Quasi tutti gli elementi chimici presentano diverse forme allotropiche. Quelle da tutti conosciute sono le due forme allotropiche del carbonio sulla Terra a cui si affiancano quelle dello zolfo. Altri elementi, non presentandosi allo stato nativo in natura, possono generare allotropie in funzione delle condizioni di pressione e temperatura nelle quali vengono ottenuti.
A parità di valenza, gli elementi, appartenenti allo stesso gruppo della tavola periodica, tendono ad avere la stessa forma allotropica come nel caso del IV gruppo C, Si, Ge e Sn hanno in comune la geometria tetraedrica a forma cubica. Questo non si verifica in toto nel V gruppo in quanto l’azoto si distacca dagli altri elementi del gruppo. L’azoto rispetto al carbonio, ha un elettrone di valenza in più. Ciò significa che l’azoto elementare non può formare quattro legami tetraedrici come quelli del diamante, in quanto per la teoria del legame di valenza (VBT) ha solo tre orbitali occupati da un solo elettrone e un quarto con una coppia solitaria, pertanto di non legame. Quindi l’azoto forma forti legami π, ma legami singoli relativamente deboli a causa della sfavorevole repulsione fra le coppie solitarie. Questa caratteristica fa sì che l’azoto sia l’unico elemento del gruppo V in grado di assumere forma biatomica. Tutti gli altri elementi del gruppo V (P, As, Sb e Bi) hanno una scarsa tendenza a formare legame multipli forti a causa della scarsa sovrapposizione degli orbitali p (notoriamente di dimensioni maggiori a partire dal 3° periodo) coinvolti nella formazione degli orbitali π. Pertanto dal fosforo in poi sono favorite sempre strutture estese con legami singoli, varianti della struttura cubica semplice per cui si formano in diverse forme allotropiche simili fra loro. La forza del triplo legame della molecola di azoto fa sì che altre forme allotropiche siano difficili da ottenere, ma sarebbero di grande interesse riprodurle come molecole di alta densità energetica.
I materiali ad alta densità energetica (HEDM) sono una classe di materiali che ha trovato enormi applicazioni nell’accumulo di energia, negli esplosivi e nei propellenti. L’efficienza di questi materiali è strettamente correlata ad alcuni fattori importanti come l’elevata densità, l’elevata energia di dissociazione dei legami. La quantità di energia rilasciata dipende dal calore di formazione e dal grado endotermico dell’HEDM. Tuttavia, esiste sempre un compromesso tra la densità energetica e la stabilità del composto, poiché quest’ultima generalmente diminuisce con il grado endotermico, che misura l’assorbimento di energia termica dell’HEDM a determinate temperature. La ricerca di nuovi HEDM ha ricevuto notevole attenzione per anni a causa delle potenziali applicazioni nell’ingegneria della potenza a impulsi, nell’elettrofisica ad alta tensione e ad alta potenza, nei materiali di saldatura e nella protezione dagli urti dei veicoli spaziali.
Gli allotropi dell’azoto molecolare, oltre la molecola biatomica N2, sono promettenti per lo sviluppo di materiali ad alta densità energetica per lo stoccaggio di energia pulita grazie al loro elevato contenuto energetico, maggiore rispetto all’idrogeno, all’ammoniaca o all’idrazina, di uso comune, e perché rilasciano solo azoto a seguito della decomposizione e pertanto dal punto di vista ambientale compatibili. Tuttavia, sono considerati estremamente instabili, specialmente quando hanno cariche ed un numero pari di elettroni. Di conseguenza, fino a quest’anno bisogna segnalare solo due esempi. Il radicale azido (•N3) è stato identificato in fase gassosa attraverso spettroscopia rotazionale nel 1956. Nel 2002, la molecola N4 è stata rilevata mediante spettrometria di massa per neutralizzazione-reionizzazione in fase gassosa; ma la sua struttura non è stata dimostrata. L’intermedio di una specie N6 è stato invece suggerito nel 1970 nel decadimento dei radicali azidi in soluzione acquosa ma non sono state fornite prove spettroscopiche definitive (Figura 1a).
Quindi restava in piedi una sostanziale sfida sintetica non essendo stato isolato nessun allotropo molecolare neutro dell’azoto. La preparazione di un allotropo molecolare metastabile dell’azoto, oltre la molecola biatomica N2, è quindi di notevole interesse.
Recentemente la sfida è stata raccolta [1] ed è stato preparato a temperatura ambiente del N6 molecolare (esazoto) attraverso la reazione in fase gassosa di cloro o bromo con azide d’argento, seguita dall’intrappolamento in matrici di argon a 10 K [Figura b]. L’N6 puro è stato ottenuto come un film alla temperatura dell’azoto liquido (77 K), dimostrando ulteriormente la sua stabilità. La spettroscopia infrarossa ed ultravioletta–visibile (UV-Vis), la marcatura con isotopi di 15N e i calcoli ab initio supportano l’effettivo ottenimento di questo allotropo.

Figura a Le tappe dello studio degli allotropi di azoto b Le reazioni di sintesi dell’allotropo N6. Copyright Nature
Ora sforzi futuri sugli allotropi dell’azoto neutro dovrebbero concentrarsi sul superamento delle sfide legate alla sintesi, sul miglioramento della stabilità termica, sulla possibilità di una caratterizzazione strutturale affidabile e sul raggiungimento di un rilascio di energia più completo, tutti elementi essenziali per le applicazioni pratiche. Inoltre in futuro si spera di ottenere l’allotropo dell’azoto neutro N10.
Anche se la scoperta è rilevante c’è comunque scetticismo per le applicazioni di accumulo di energia. Inoltre pur essendo N6 stabile nell’azoto liquido per lunghi periodi, come può rilasciare energia in modo controllato?
[1] W. Qian et al. Nature 2025, 642, 356–360. https://doi.org/10.1038/s41586-025-09032-9.
Pompieri e PFAS
Luigi Campanella, già Presidente SCI
La divisa di un vigile del fuoco è costituita da diversi strati per difendere il suo corpo dal fuoco contro cui dovrà combattere, dalle sostanze nocive con cui venissero a contatto, anche dai fumi. Di fatto resta esposto solo il viso che viene coperto da maschere filtranti solo se l’intervento lo richiede. Per essere efficaci e svolgere il loro ruolo protettivo, i completi anti-fiamma devono essere costruiti con materiali resistenti al fuoco, e quelli in dotazione al Corpo nazionale dei vigili del fuoco (C.N.VV.F) contengono il Politetrafluoroetilene (Ptfe), più conosciuto come Teflon, e altri Pfas, le sostanze perfluoralchiliche note soprattutto per essere responsabili di una delle più grandi contaminazioni ambientali italiane, avvenuta in provincia di Vicenza a opera dell’azienda Miteni e di patologie tumorali diverse. Negli Stati Uniti è stata dimostrata la correlazione tra l’esposizione ai Pfas tramite i Dpi e alcune malattie che colpiscono i pompieri, in Italia un’indagine epidemiologica
IrpiMedia ha fatto analizzare un giaccone anti-fiamma di un pompiere italiano e la concentrazione di Pfas rilevata induce a considerare opportune indagini più approfondite su tale indumento.
Il Teflon, fino a qualche anno fa conteneva Pfoa, un Pfas considerato cancerogeno e vietato dal 2013 a causa della sua pericolosità per l’uomo. È noto soprattutto per essere contenuto nelle padelle antiaderenti; si tratta di un composto che non fa propagare le fiamme, permette ai tessuti di resistere a temperature elevate, è idro e olio repellente, quindi ideale per le tute da intervento dei vigili del fuoco. Il prolungato tempo di indossamento delle tute antifiamma ed il calore dovuto alle alte temperature durante gli incendi potrebbero però aumentare la capacità del corpo umano di assorbire Pfas. IrpiMedia ha consultato diversi capitolati del Ministero dell’Interno, scoprendo che a partire dal 2010 è specificato che la membrana esterna al giaccone e al pantalone deve essere composta da Politetrafluoroetilene (Ptfe) a struttura microporosa espansa e che sulla parte interna delle cuciture esterne deve essere applicato un nastro Ptfe idoneo ad assicurare una perfetta aderenza». Alcuni pompieri hanno scoperto le loro patologie grazie ai controlli sanitari, emocromo, spirometria, misura della vista, elettrocardiogramma, consulto psicologico a cui devono sottoporsi ogni due anni. IrpiMedia ha inviato una giacca da pompiere italiano negli Stati Uniti al professor Graham Peaslee che per primo aveva studiato la correlazione causa effetto nel caso delle patologie riscontrate nei pompieri e che si era offerto di condurre l’analisi e la misurazione della quantità totale di fluoropolimeri presenti nel giaccone italiano. La sua risposta è stata: “i tessuti costruiti con fluoropolimeri presentano un valore di fluoro totale di circa 50.000 ppm (parti per milione) o superiore, ciò equivale a circa il 5% di fluoro sulla superficie. La barriera anti umidità interna dei dispositivi di protezione è in genere realizzata in Ptfe che, quando viene misurato, restituisce concentrazioni di fluoro totale superiori al 20-30%. I vostri ricambi italiani sembravano avere valori di fluoro totale identici a quelli misurati negli Stati Uniti e in Australia».
Secondo queste dichiarazioni, le tute italiane potrebbero quindi contenere diversi tipi di Pfas, come le tute statunitensi e australiane che, secondo Peaslee, possiedono una quantità di Pfoa pari a 2,18 ng/g. marzo 2024.

A seguito di ciò il Conapo, il sindacato autonomo dei Vigili del Fuoco e l’USB hanno richiesto al Ministro dell’Interno e a quello della Salute, studi sull’incidenza dei Pfas nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e accertamenti sanitari sui vigili esposti a queste sostanze.
Il ministero dell’Interno ha dato la stessa risposta del 2021, ovvero che le analisi da loro visionate, realizzate da un laboratorio accreditato, hanno fornito “valori non significativi dal punto di vista della misura”. Per il Ministero, dunque, le tute utilizzate dai pompieri italiani, non presentano quantità pericolose di Pfas.
https://irpimedia.irpi.eu/tute-pompieri-italiani-pfas-tumori/
Il fluoro che mi piace
Claudio Della Volpe
Ho passato oltre trenta anni della mia vita professionale nell’ex Sanatorio di Mesiano, sulla collina di Trento, un gigantesco edificio costruito alla fine degli anni 30 per ospitare i malati di tubercolosi, allora ancora molto numerosi in Italia, poi riattrezzato dal 1989 a sede della Facoltà di Ingegneria.

Sanatorio di Mesiano (Trento) nel 1938.
Quando ero uno studente di scuola media nel 1963 era ancora obbligo fare a tutti gli alunni di quell’età una radiografia annuale per diagnosticare la presenza di TBC; e in realtà l’obbligo di radiografia toracica è stato abolito in Italia solo nel 1998.

Pochi ricordano bene quel mondo in cui la sputacchiera era un dispositivo comune in molti locali e edifici pubblici.
E in genere noi abitanti delle zone del mondo oggi “ricche” abbiamo spesso dimenticato l’importanza della TBC, una malattia indotta da un batterio, il Mycobacterium Tuberculosis, che fece lo spillover verso la nostra specie molte migliaia di anni fa dai bovini (c’era già 15 o 20mila anni fa); era conosciuta e diagnosticata già dai medici egiziani.
Ne è rimasta memoria nelle grandi storie che erano raccontate nel XIX secolo, una per tutte la Traviata di Verdi:

afflitta dalla tubercolosi, Violetta muore tra le braccia di Alfredo.
La vaccinazione con il bacillo vivo attenuato BCG (Bacillo di Calmette-Guérin), messa a punto al principio del XX secolo iniziò in Italia solo nel 1926 e divenne di legge nel 1951, ma ancora nel 1970 solo 400mila persone all’anno erano vaccinate (noi ragazzi a Napoli chiamavamo quel complesso e doloroso procedimento vaccinale “la bbona” che ti lasciava una cicatrice indelebile); anche se devo dire che dopo quasi 70 anni la mia è scomparsa; ne ho trovata una immagine in rete come potete vedere qui sotto; il miglioramento delle condizioni di vita e l’uso degli antibiotici ha consentito di ridurre la TBC ad un piccolo numero di casi in tutti i paesi ricchi e la vaccinazione oggi non è più obbligatoria.

Quanti di voi la hanno ancora visibile sul braccio sinistro?
Ma tutto ciò non è ancora avvenuto nei paesi poveri.
Nel 2023, si stima che 10,8 milioni di persone nel mondo si siano ammalate di tubercolosi (TBC), con 134 casi incidenti ogni 100.000 abitanti. Si stima che circa un quarto della popolazione mondiale (2 miliardi) sia stato infettato dai batteri della TBC, che però stanno lì nel corpo ad aspettare il momento opportuno per attaccare.
Un totale di 1,25 milioni di persone nel mondo sono morte a causa della TBC nel 2023, tra cui 161.000 persone affette da HIV.
Il maggior numero di casi di tubercolosi si è registrato nelle regioni del Sud-Est asiatico (45%), dell’Africa (24%) e del Pacifico occidentale (17%).
Impatto:
La tubercolosi rimane la principale causa di morte per malattia infettiva e colpisce in modo sproporzionato i Paesi a basso e medio reddito.
Negli ultimi mesi un giovane medico nato nella città dove vivo è stato premiato da Time come un dei medici più influenti al mondo proprio per la sua lotta senza quartiere alla TBC nel mondo povero con la messa a punto di una nuova terapia più breve ed efficace contro la malattia.
Il dottor Guglielmetti (per la sua attività si veda https://endtb.org/) ha dichiarato:

abbiamo proprio identificato tre nuove associazioni di farmaci – combinazioni di 4 o 5 farmaci, alcuni nuovi, altri più vecchi – che con un trattamento di 9 mesi permettono di avere degli ottimi risultati nel trattare la tubercolosi resistente alla rifampicina» e quindi aiutare le 410.000 persone colpite ogni anno da questo ceppo. E’ un trattamento «molto più corto» rispetto a quello storico di 18-24 mesi, e «funziona almeno altrettanto bene, sono tutti farmaci orali, non ci sono iniezioni». La Tbc, ha concluso Guglielmetti «è l’agente che causa più morti ogni anno, una media di 1,3 milioni e più di 10 milioni di casi. È un problema di sanità pubblica enorme, la pandemia più antica, e siamo lontanissimi dall’averla sconfitta»
«Le malattie infettive mi hanno sempre ispirato – spiega Guglielmetti – E’ molto soddisfacente trattarle, perché si riesce a vedere un risultato, si riesce a curare. Di solito con i pazienti si ottiene un risultato in fretta». Ma non sempre è così. Alcune sfide sono più complicate di quel che si pensi. C’è poi l’aspetto umanitario: «Queste sono proprio le malattie delle disuguaglianze, delle fasce più marginali delle società, che hanno poca visibilità e poco interesse da parte delle case farmaceutiche».
Il tutto è stato poi pubblicato in un lavoro recente sul prestigioso NEJM:
https://www.nejm.org/doi/pdf/10.1056/NEJMoa2400327

Come tutti gli altri batteri anche quello della tubercolosi è diventato resistente ai classici antibiotici del passato fra cui la rifampicina (anch’esso battericida ma agente sulla RNA polimerasi), ed è stato sostituito dai fluorochinoloni.
I fluorochinoloni sono una classe di antibiotici utilizzati per trattare specifiche infezioni batteriche. Questi farmaci agiscono inibendo la DNA-girasi e la topoisomerasi, enzimi essenziali per la replicazione del DNA batterico, causando la morte dei batteri. Alcuni esempi di fluorochinoloni includono ciprofloxacina, levofloxacina e moxifloxacina.
I fluorochinoloni interferiscono con l’attività enzimatica dei batteri, impedendo loro di replicare il loro DNA.
Questo impedimento porta alla morte delle cellule batteriche, eliminando l’infezione.
I fluorochinoloni possono avere effetti collaterali, come problemi gastrointestinali, reazioni cutanee e, in rari casi, problemi al tendine.
Dalla formula sotto riportata vedete che si tratta di un antibiotico che contiene un atomo di fluoro in catena, che gli conferisce le sue specifiche proprietà; questo è un caso in cui la forza superiore del legame C-F che rende così pericolosi altri composti come i PFAS si rivela un toccasana; questo è il fluoro organico che ci piace.

Come ho detto e scritto altre volte su queste pagine il legame CF. a causa della sua forza superiore è particolarmente stabile e per questo motivo, non è facilmente metabolizzato nell’ecosistema e dunque si accumula; in natura esistono poche decine di molecole (meno di 20 per quanto ne so) naturali contenenti il legame CF e sono tutte molecole presenti solo in limitati ambienti ecologici; noi furbissimi chimici umani invece abbiamo formulato MILIONI di molecole col legame CF, una percentuale significativa delle molecole sintetizzate dall’uomo, certamente perché abbiamo visto che proprio perché non è metabolizzato è inatteso, gli organismi non riescono a disfarsene e a difendersi; e ci siamo dimenticati del fatto banale che PROPRIO PER QUESTO essi composti si accumulano nell’ecosistema e dunque poi ritornano da noi, diventano pericolosi composti “per sempre”. Pur di ottenere un piccolo vantaggio momentaneo abbiamo saturato l’ambiente mondiale con alcune migliaia di tipi di molecole indistruttibili che oggi hanno invaso il nostro ecosistema e di cui dovremo continuare a liberarci per decenni o secoli.
Male, malissimo; ma il fluorochinolone è probabilmente un esempio ragionevole, sta alla stregua di quei pochi composti naturali fluoro-organicati, uno dei pochissimi utili da usare come quella ventina scarsa già presente in natura.
Un fluoro buono, un legame CF buono da riservare a casi delicati come alla TBC resistente; di molti altri casi quasi della totalità potremmo e DOVREMO fare a meno.
Pensiamoci subito.
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Mi scuso per l’inconveniente.
Claudio Della Volpe
L’enciclica Laudato si’ di papa Francesco – Un documento che farà epoca
Vincenzo Balzani, Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” Università di Bologna
1. Introduzione
Si stima che in cielo ci siano 1023 stelle: per contarle tutte, una al secondo, ci vorrebbero tre milioni di miliardi di anni! Nell’immensità del Creato c’è un puntino: la Terra, una specie di astronave, grande se vista da molto vicino, che viaggia nell’infinità dell’Universo con un carico particolare, forse unico: gli esseri umani. È un’astronave del tutto speciale, che non potrà mai atterrare da nessuna parte, non potrà mai attraccare a nessun porto per far rifornimento. È la nostra casa comune. Dobbiamo viverci tutti assieme, bianchi, neri, gialli, uomini, donne, buoni e cattivi. E se qualcosa non funziona, dobbiamo ripararla da soli, senza neppure scendere.
La Terra appariva infinitamente grande ai pochi uomini che l’hanno abitata per migliaia e migliaia di anni come passeggeri passivi, dominati e impauriti dalle forze della Natura. Con il passare del tempo, il numero di uomini è molto aumentato (oggi, siamo più di otto miliardi) ed è aumentata fortemente anche la loro attività. Nell’ultimo secolo, in particolare negli ultimi cinquant’anni, l’uomo, con l’energia fornita dai combustibili fossili e con lo sviluppo della scienza e della tecnologia, ha modificato profondamente la Terra e continua a trasformarla sempre più velocemente [1]. Nel passato, era la Natura che scandiva le epoche, ma oggi, sotto vari aspetti, è l’uomo che vuole dominare la Natura, per cui gli scienziati hanno proposto di chiamare Antropocene l’epoca geologica presente [2].
I molti problemi della nostra epoca sono affrontati e discussi in modo semplice e chiaro nell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco [3], un piccolo, ma importantissimo libro che descrive la situazione in cui si trova la società umana nella nostra casa comune, la Terra. Per cogliere la grande importanza di questa enciclica ed il suo profondo significato teologico, politico e sociale verranno presi in esame i principali temi di cui si occupa. L’enciclica è articolata in 246 paragrafi. In questo commento utilizziamo numeri fra parentesi tonda per indicare i paragrafi in cui sono trattati gli argomenti discussi.

2. La crisi ambientale
Papa Francesco nell’enciclica ha denunciato, in modo fermo e deciso, tutti i danni causati dall’uso irresponsabile e dall’abuso dei beni comuni (2). Bisogna fermare il cambiamento climatico, non inquinare le acque, il suolo e l’aria, preservare la diversità biologica, custodire l’integrità della terra, salvaguardare le foreste e i mari. Per quanto riguarda, in particolare, il problema climatico, l’enciclica riporta in più punti le conclusioni degli scienziati [4]: il riscaldamento globale degli ultimi decenni è dovuto sostanzialmente ai gas serra (principalmente, CO2) generati dall’uso dei combustibili fossili (23); le previsioni catastrofiche non si possono guardare con disprezzo e ironia (161); gli stili di vita che contribuiscono al cambiamento climatico sono peccati (8); i Paesi che hanno tratto beneficio da un alto livello di industrializzazione, con un’enorme emissione di gas serra, hanno maggiore responsabilità e quindi devono contribuire alla soluzione dei problemi che hanno causato (170); molti di coloro che detengono più risorse e potere economico o politico cercano di mascherare i problemi o nasconderne i sintomi (26). Non ci sono parole più appropriate di queste per commentare il comportamento di alcune lobby industriali e di responsabili politici che hanno continuato per anni a negare o tentato di minimizzare i danni climatici causati dall’uso dei combustibili fossili, danni che poi sono emersi chiaramente negli anni successivi, come documentato dagli studi di molti scienziati [5].
3. ll problema energeticoPapa Francesco è in sintonia con quanto concordano gli scienziati [4,5] su come risolvere il problema energetico: il consumo di combustibili fossili deve diminuire senza indugio, ma la politica e l’industria rispondono con lentezza, lontane dall’essere all’altezza della sfida (165); la transizione dall’uso dei combustibili fossili alle fonti energetiche rinnovabili non va ostacolata, ma accelerata (26); la penetrazione delle energie rinnovabili nei Paesi in via di sviluppo deve essere sostenuta con trasferimento di tecnologie, assistenza tecnica e aiuti finanziari (172).
Nell’enciclica il Papa ricorda spesso San Francesco d’Assisi, in particolare nei paragrafi (10), (11) e (12). Nel meraviglioso Cantico delle Creature [6] San Francesco loda il Signore per frate Sole, frate Vento, sor’Acqua e sora nostra madre Terra. Oggi sappiamo che l’energia del Sole (fotovoltaica), quella del vento (eolica) e quella dell’acqua (idroelettrica) sono le energie rinnovabili [5], sulle quali l’umanità può fare affidamento; la Terra è il luogo dove possiamo trovare, oltre ai diversi fructi con coloriti fiori et herba [6], anche gli elementi chimici con i quali costruire i congegni e le apparecchiature (pannelli fotovoltaici, pale eoliche, dighe, ecc.) che ci permettono di convertire le energie rinnovabili naturali nelle energie di uso finale: calore, elettricità, combustibili.
4. I limiti delle risorse ed i confini planetariIn un quadro di incrollabile speranza (244), papa Francesco sottolinea una forte preoccupazione: attraverso uno sfruttamento sconsiderato della Natura, l’uomo rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione (4). Francesco sottolinea anche che, nonostante il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente abbia superato le possibilità del pianeta (161), ai centri di potere finanziari, economici e politici interessa solo estrarre dalla terra tutto quanto è possibile (106). Un esempio di questo comportamento l’abbiamo, purtroppo, anche qui in Italia. Il Governo, infatti, con il decreto Sblocca Italia e altri recenti provvedimenti [7], ha stabilito di facilitare e addirittura incoraggiare le attività di estrazione delle residue, marginali riserve di petrolio e gas del nostro Paese, mentre pone ostacoli allo sviluppo delle energie rinnovabili e non agisce per creare una cultura della sostenibilità ecologica e dell’economia circolare [8].
Purtroppo, anche alcuni scienziati sembrano pensare che sulla Terra ci sia una quantità illimitata di risorse e che, in ogni caso, gli effetti negativi delle manipolazioni della Natura possano essere facilmente arginati. Di qui si passa all’idea di una crescita infinita, che tanto entusiasma gli economisti (106) [9]. L’enciclica sottolinea che la logica “usa e getta” produce enormi quantità di rifiuti solo per il desiderio disordinato di consumare più di quello di cui realmente si ha bisogno (123), così che il ritmo di consumo e di spreco ha superato le capacità del pianeta (161). Papa Francesco ci ricorda anche che la spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà, senza attaccarci a ciò che abbiamo, né rattristarci per ciò che non possediamo (222).

5. Inequità e disuguaglianze
Oltre a discutere il problema del troppo rapido consumo delle risorse e dei molti danni causati al pianeta, l’enciclica si occupa in modo molto chiaro dell’altra, addirittura più importante emergenza planetaria: quella delle inequità e delle sempre crescenti disuguaglianze. È un atto di gravissima inequità quando si pretende di ottenere importanti benefici facendo pagare al resto dell’umanità, presente e futura, gli altissimi costi del degrado ambientale (36). Non ci accorgiamo più che alcuni si trascinano in una miseria degradante, mentre altri non sanno nemmeno che farsene di ciò che possiedono (90). Queste e altre parole dell’enciclica ben si addicono a situazioni segnalate anche dai giornali, ma rapidamente dimenticate da tutti. Ad esempio, negli USA 42 milioni di persone ricevono contributi per vivere [10], mentre Tim Cook, CEO di Apple, ha goduto di uno stipendio di 74,6 milioni di dollari nel 2025 [11] e, in Italia, i 10 più ricchi guadagnano quanto 500.000 operai [12]. Dovremmo indignarci, dice Francesco, per le enormi disuguaglianze che esistono nei nostri paesi (90).
L’inequità, poi, non colpisce solo gli individui all’interno dello stesso Paese, ma è anche un problema internazionale: si è accumulato, infatti, un “debito ecologico” tra il Nord e il Sud del mondo, connesso all’uso sproporzionato delle risorse naturali da parte dei Paesi più industrializzati (51). L’enciclica dedica un’intera sezione all’inequità planetaria, sottolineando che il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo particolare i più deboli del pianeta, miliardi di persone che sono ormai considerate un “danno collaterale” dai tanti professionisti, opinionisti, mezzi di comunicazione e centri di potere che non hanno contatto diretto con i problemi dei poveri (49): è la “cultura dello scarto” (22, 43).
Ne deriva che non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale (139). Per risolverla, è necessario un approccio integrale: combattere la povertà, restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo prendersi cura della Natura.
6. La scienza e la tecnica
L’enciclica [3] sottolinea i benefici portati dalla scienza e dalla tecnica, prodotti meravigliosi della creatività umana, che è un dono di Dio. Però, denuncia anche i rischi ai quali siamo esposti (102). La libertà che ci siamo presi per sviluppare la scienza e la tecnica ci ha portati in qualche modo a una situazione di schiavitù, tanto che la domanda non è più “cosa possiamo fare noi con la scienza e la tecnica”, ma “che cosa la scienza e la tecnica possono fare di noi” [13]. I prodotti della tecnica, infatti, non sono neutri, perché creano una trama che finisce per condizionare gli stili di vita e orientano le possibilità sociali nella direzione degli interessi di determinati gruppi di potere (107). Il mercato, ad esempio, tende a creare un meccanismo consumistico compulsivo per piazzare i suoi prodotti, così che le persone finiscono con l’essere travolte da un vortice di acquisti e spese superflue (203).
A questo proposito si può citare la continua crescita delle aziende del lusso e, come caso particolare, la produzione della Lamborghini Urus, definita “un’auto per la famiglia” [14] ed esaltata da alcuni come un atto straordinario di politica industriale e un esempio di innovazione e creatività. Con la sua mostruosa potenza di 600 CV e un costo (nel 2025) di circa 250.000 euro, Urus è, in realtà, unemblema del consumismo e un’icona di quelle disuguaglianze che molti politici dicono di voler ridurre. C’è una distanza abissale dal comportamento di Papa Francesco che non portava le tradizionali scarpette rosse dei papi e la croce d’oro, che andava da solo dall’ottico per farsi riparare gli occhiali, che girava per Roma con una Ford Focus e che, per gli spostamenti nel viaggio negli Stati Uniti, ha usato una Fiat 500 elettrica, invisibile in mezzo alle lussuose automobili del seguito. È vero che la produzione diauto di lusso crea posti di lavoro, ma è anche vero che si dovrebbe aumentare l’occupazione con innovazioni capaci di produrre cose più utili, nell’ambito di uno sviluppo responsabile e sostenibile. I progressi scientifici più straordinari, ricorda papa Francesco nell’enciclica, le prodezze tecniche più strabilianti e la crescita economica più prodigiosa, se non sono congiunte a un autentico progresso sociale e morale, si rivolgono, in definitiva, contro l’uomo (4).
Papa Francesco ha delineato anche una sua prospettiva antropologica, raccogliendo la sfida della complessità e rilanciando la necessità di abbracciare un pensiero complesso come condizione per la conversione ecologica: tutto è connesso, tutto è in relazione, per cui smarrire questa consapevolezza espone a gravi rischi (117). Agire in base a semplificazioni può portare, infatti, a errori colossali, come scatenare la follia di una guerra, anziché continuare laboriose trattative che consolidino la pace. La complessità ci sfida a pensare e agire per tessere, legare, unire; spesso, però, l’iper-specializzazione ci impedisce capire la complessità e il modo giusto di intervenire.
7. Una rivoluzione culturale
Secondo papa Francesco, è nostro dovere affrontare e risolvere la duplice crisi ambientale e sociale che stiamo attraversando. Come spesso accade in epoche che richiedono decisioni coraggiose, i più abbienti sono portati a pensare che le cose, poi, non stanno andando male e che, quindi, il pianeta potrà continuare a svolgere il suo ruolo per molto tempo. Questo significa, però, ignorare il problema delle disuguaglianze, che può essere risolto solo con profonde modifiche nell’organizzazione sociale, oltre che nel rapporto fra uomo e Natura (59, 209).
Un cambiamento nei nostri stili di vita potrebbe esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico ed economico (206). Ciò che sta accadendo ci pone, quindi, di fronte all’urgenza di mettere in atto una coraggiosa rivoluzione culturale. È indispensabile rallentare la marcia per guardare la realtà in modo più profondo e recuperare i valori e i grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane (114); è necessario, anche, che ciascuno recuperi i diversi livelli dell’equilibrio ecologico: quello interiore con sé stesso, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi, quello spirituale con Dio (210).
8. La speranzaL’enciclica Laudato si’ [3] termina con un invito: Camminiamo cantando! Che le nostre lotte e le nostre preoccupazioni per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza (244). Grazie a papa Francesco ci sono, in realtà, segnali che ci inducono a ben sperare:
- la Natura ci sta inviando segnali sempre più pressanti sull’esistenza di problemi che dobbiamo risolvere (prima di tutto, il cambiamento climatico) e l’umanità comincia a capire la gravità della situazione in cui si trova il mondo;
- energia, risorse e ambiente sono argomenti entrati nei programmi scolastici oltre che in quelli di alcuni partiti politici;
- molti scienziati hanno assunto posizioni chiare e decise per arginare i danni inferti al pianeta dal cambiamento climatico e dal degrado ambientale e importanti istituzioni politiche internazionali (Unione Europea, ONU, IPCC, Union of Concerned Scientists) hanno cominciato a prendere decisioni appropriate per risolvere i problemi emersi;
- numerose associazioni scientifiche (Earth Charter Iniziative, WWF, Greenpeace, Friends of the Earth, Global Footprint Network, Legambiente, energiaperlitalia.it, ecc.) stanno intraprendendo importanti campagne di sensibilizzazione;
- la ricerca scientifica si sta impegnando per utilizzare al meglio l’energia solare e le altre energie rinnovabili, tanto che incominciano a comparire buone notizie; nel 2025, ad esempio, l’energia rinnovabile generata dal Sole, dal vento e dalle cadute d’acqua supererà la produzione di energia ottenuta dai combustibili fossili.
Papa Francesco [3] non ha perso occasione per ricordare che, se vogliamo custodire la casa comune e ridurre le disuguaglianze, è necessario utilizzare con cura e condividere le risorse e sviluppare con sapienza le conoscenze scientifiche e le innovazioni tecnologiche. Per far questo, bisogna sfruttare anche le preziose fonti di energia spirituale, proprie dell’uomo, che gli permettono di esercitare responsabilità, sobrietà, collaborazione, solidarietà, amicizia e saggezza. Speriamo che sorgano presto altri leader capaci, come ha fatto papa Francesco, di guardare lontano nello spazio, cioè all’interesse di tutti gli abitanti del pianeta, e nel tempo, cioè anche alle prossime generazioni.
9. L’enciclica Fratelli tutti
Nella più recente enciclica Fratelli tutti [15], papa Francesco spiega che la rivoluzione culturale, necessaria per giungere alla sostenibilità ecologica e sociale, non può compiersi con qualche parziale modifica del rapporto uomo-pianeta o delle relazioni fra le nazioni. Si tratta, invece, di cambiare radicalmente la base su cui poggiano le nostre culture: bisogna accettare e valutare positivamente le diversità, ammettere i propri limiti e riconoscere che siamo tutti figli di Dio, fratelli che nascono, vivono e muoiono nella stessa casa comune, il pianeta Terra. In altre parole, la necessaria rivoluzione culturale richiede che gli uomini e anche le nazioni passino dalla situazione di abitanti dello stesso pianeta, spesso in competizione commerciale o addirittura in guerra fra loro, a quella di fratelli che si amano, si stimano e si aiutano. Solo così si potrà giungere alla sostenibilità ecologica perché, solo così, il pianeta verrà custodito e non degradato e le sue risorse verranno condivise nella sobrietà. Si dovrà anche attuare una saggia politica per ridurre le disuguaglianze mediante lo sviluppo dei servizi comuni (scuola, sanità, trasporti, ecc.) e un sistema economico basato su tasse e sussidi mirati ad aiutare i più deboli, perché ogni persona vale e non va dimenticata. La consapevolezza che in un mondo globalizzato nessuno è autosufficiente deve spingerci a intraprendere collaborazioni proficue fra le nazioni e a sostenere con forza la pace.
10. Papa Leone XIV
Il nuovo pontefice Leone XIV, appena eletto, ha fatto capire che procederà nella strada aperta dal suo predecessore, dedicandosi con particolare impegno al problema della pace. Infatti, quando si è affacciato alla Loggia centrale della basilica di San Pietro, per impartire la benedizione urbi et orbi, ha iniziato con l’invocazione pasquale della pace: La pace del Cristo risorto, una pace disarmata e disarmante, umile e perseverante. Ha poi aggiunto: Vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina, una Chiesa che cerca sempre la pace, che cerca sempre la carità, che cerca sempre di essere vicino specialmente a coloro che soffrono. Il giorno seguente, Leone XIV ha presieduto, da pontefice, la sua prima celebrazione eucaristica con il collegio cardinalizio e, nell’omelia, ha ricordato l’urgenza per la Chiesa di agire,perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre.
Recentemente, in preparazione della Cop30, papa Leone XIV ha inviato un videomessaggio [16] ai Rettori delle 200 università di Nord, Sud, Centro America e Penisola Iberica. In sintonia con la Laudato si’, li ha incoraggiati a essere costruttori di ponti, lavorando per la giustizia ecologica, sociale e ambientale.
Bibliografia [1] W. Steffen, P.J. Crutzen, J.R. McNeil: Are Humans Now Overwhelming the Great Forces of Nature? Ambio, 2007, 36, 614. [2] P. J. Crutzen: Geology of mankind-The Anthropocene, Nature, 2002, 23, 415. [3] Papa Francesco: Laudato si’ – Lettera enciclica sulla cura della casa comune, Paoline editoriale Libri, Milano, 2015. [4] (a) N. Armaroli, V. Balzani: Energia oggi e domani. Prospettive, sfide, speranze, Bononia University Press, Bologna, 2004; (b) J. Rockstrom, et al., A safe operating space for humanity, Nature, 2009, 461, 472; (c) N. Armaroli, V. Balzani: Energy for a Sustainable World – From the Oil Age to a Sun-Powered Future, Wiley-VCH, Weinheim, 2011; (d) N. Armaroli, V. Balzani, N. Serpone: Powering Planet Earth, Energy solutions for the future, Wiley-VCH, Weinheim, 2013; (e) V. Balzani, M. Venturi: Energia, Risorse, Ambiente, Zanichelli, Bologna, 2014; (f) L. Lombroso, Ciao fossili – Cambiamenti limatici, edizioni Artestampa, Modena, 2015.(5) (a) V. Balzani: Salvare il Pianeta per salvare noi stessi: energie rinnovabili, economia circolare, sobrietà, Lu::CE edizioni, Massa, 2020; (b) M.Z. Jacobson: 100% clean, renewable energy and storage for everything, Cambridge University Press, Cambridge, 2021; (c) F.M. Butera: Affrontare la complessità per governare la transizione ecologica, Edizioni Ambiente, Milano, 2021; (d) N. Armaroli: Un mondo in crisi, Dedalo, Bari, 2022;(e) L. Becchetti, C. Becchetti, F. Naso: Rinnovabili subito, Donzelli editore, Roma, 2022; (f) A. Tilche: Sette lezioni sulla transizione climatica, Dedalo, Bari, 2022; (g) F.M. Butera, Sole Vento Acqua, Manifesto Libri, Roma, 2023; (h) M.Z. Jacobson, No Miracles Needed, how today’s technology can save our climate and clean our air, Cambridge University Press, Cambridge, 2023;(i) M. Giusti: L’urgenza di agire, Lu::Ce edizioni, Massa, 2024; (l) N. Armaroli, V. Balzani: Energia per l’Astronave Terra, IV edizione, Zanichelli, 2024; (m) V. Balzani, E. Castellucci, La buona alleanza – Scienza e fede a difesa della casa comune, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2024.
[6] https://it.wikipedia.org/wiki/Cantico_delle_creature
[8] U. Bardi: Extracted: How the Quest for Mineral Wealth Is Plundering the Planet, Chelsea Green Publishing, Chelsea, 2014.
[10] https://it.wikipedia.org/wiki/Supplemental_Nutrition_Assistance_Program.
[12] https://www.rai.it/dl/tg3/articoli/ContentItem-4ba9bb36-7be2-4b21-baa2-0f56a89232f8.html
[13] U. Galimberti, I miti del nostro tempo, Feltrinelli, Milano, 2022.
[14] https://www.drivek.it/lamborghini/urus/#
[15] Papa Francesco: Fratelli tutti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2020.
[16] https://www.avvenire.it/papa/pagine/papa-leone-videomessaggio-laudato-si
Cosa sono le batterie di Carnot?
Claudio Della Volpe
Ho più volte affermato e continuerò a ripeterlo che la transizione energetica necessaria per affrontare uno dei nostri problemi principali (ne abbiamo almeno 9, come si sa) non può limitarsi ad aumentare le nostre apparecchiature di conversione rinnovabile (FV ed eolico ed altre simili) ma deve considerare la variabilità sistemica di tali fonti con due strategie chiave; una di lungo periodo che consiste nella costruzione di una grande rete elettrica mondiale di scambio, che consenta alla Terra di essere alimentata da un continente all’altro come immaginato già nel 1938 da Buckminster Fuller e sul breve periodo, nell’attesa di tale rete, tramite lo sviluppo di una serie di accumuli energetici che consentano di far fronte alla variabilità giornaliera e stagionale delle rinnovabili.
Il primo obiettivo ha molti aspetti politici e dunque non può essere al momento realizzato non per limiti tecnici, ma per limiti politici; sarà risolto (ne sono convinto pienamente) con la affermazione di una società umana UNITA, ragionevolmente a carattere socialista (non vedo alternative ragionevoli); il secondo invece ha notevoli limiti tecnici in quanto non abbiamo ancora messo a punto una filiera produttiva adeguata.
Tuttavia su questo tema la ricerca è attiva e produce passi avanti.
Oggi vi parlo di un aspetto di questa ricerca: le batterie di Carnot.
Si tratta di un concetto per certi aspetti innovativo, per altri invece ben conosciuto e sul quale sono in corso vari grandi progetti.
In particolare è stato pubblicato un report nel 2023 ad opera della IEA, intitolato Task 36 – Final Report che potete trovare qui.
Al lavoro hanno partecipato ricercatori di molti paesi; in particolare il gruppo che ha definito cosa sia una batteria di Carnot era diretto dall’italiano Salvatore Vasta, CNR ITAE di Messina.
Vediamo cosa scrive questo sottogruppo:

Questa definizione può essere apprezzata meglio tramite questo grafico:

La definizione di batteria di Carnot è stata coniata nel 2018 , ma in realtà l’idea base è nata molto prima addirittura nel 1833 da John Ericsson, riscoperta un secolo dopo e brevettata da Laguerre (1936).
L’idea base è semplice, accumulare calore come risultato della produzione di energia elettrica da rinnovabili (trasformazione che come sapete ha una efficienza praticamente del 100% e poi dopo ore, settimane o nel caso migliore mesi recuperare quel calore come sorgente calda di una macchina termica con uno dei cicli tradizionali delegati a questo scopo (Brayton il ciclo ottimale per le turbine oppure Rankine, un ciclo classico che usa acqua come fluido).
Due parole sui metodi: in cosa accumulare calore?
In un fluido ad alta capacità termica, tipicamente acqua, o in un liquido a più alta temperatura, per esempio una miscela di sali fusi, oppure in un fluido che vada soggetto ad una trasformazione di fase, ed infine un processo termochimico che immagazzini l’energia nella forma chimica scelta; esistono ovviamente anche altre possibilità, ma queste sono le principali. Il metodo di trasformazione dell’energia elettrica in calore può avere perfino una efficienza più alta del 100% se si usa una pompa di calore alimentata dalla sorgente rinnovabile per pompare calore in un deposito opportuno a partire da una sorgente di stoccaggio naturale se disponibile (una termale ad esempio), oppure ci si può accontentare di un metodo come la resistenza elettrica che comunque arriva quasi al 100%.
La stima delle caratteristiche di questi sistemi deve rispondere ovviamente a due requisiti: alta densità energetica per unità di volume per abbassare il volume di accumulo necessario e possibilità di isolare il serbatoio riducendone le inevitabili perdite.
Lo scopo è sempre quello complessivo di massimizzare la cosiddetta efficienza di ciclo, roundtrip efficiency in inglese, e ancora la cosiddetta efficienza di seconda legge, che non esprime solo il rapporto fra le energie accumulate e fornite, ma tiene anche conto della qualità dell’energia.

Per fare questo si introduce il concetto di exergia, ossia una cosa introdotta per bypassare l’introduzione della sempre misteriosa entropia:
In termodinamica l’exergia di un sistema è la massima frazione di energia di prima specie (meccanica, elettrica, potenziale, cinetica, elettromagnetica, chimica) che può essere convertita in lavoro meccanico mediante macchina reversibile.
Terminerei questo post con due considerazioni; la prima è quella di come si stima l’efficienza REALE di una macchina termica e la seconda un caso concreto di batteria di Carnot.
Come noto il ciclo di Carnot (costituito da due isoterme e due adiabatiche) è il ciclo termodinamico che assicura il maggiore rendimento possibile in sede ideale tra le due temperature estreme del ciclo. Il rendimento sarà:

Nel 1873 Reitlinger dimostrò che tutte le macchine operanti nel medesimo intervallo di temperature e funzionanti con cicli costituiti da due isoterme e da altre due trasformazioni omologhe rigenerative sono in grado di realizzare il medesimo rendimento del ciclo di Carnot.
Assumendo quindi un ciclo con due trasformazioni isoterme alla massima e alla minima temperatura realizzando le altre due trasformazioni mediante isocore, politropiche o isobare rigenerative si otterrà il rendimento massimo ideale.
Se si operano due isobare si avrà il ciclo di Ericsson (1853), con due isocore il ciclo di Stirling (1816), con due politropiche il ciclo di Reitlinger (1873).
Ora si tenga presente prima di proseguire che il rendimento ideale è solo il massimo ottenibile in modalità “reversibile”, che è una modalità in cui il tempo non conta nulla, è infinito, si parla di energia MA non di potenza, una macchina che lavorasse reversibilmente fornirebbe energia in modo estremamente efficiente ma a potenza nulla!!
E cosa ce ne faremmo?
Una macchina per fornire potenza e non solo energia DEVE dissipare calore.
Le cose reali sono distanti dalla reversibilità e le macchine termiche reali forniscono potenza finita. Esiste una branca che però i chimici non insegnano, (a volte lo fanno sia pur raramente gli ingegneri) che è denominata “termodinamica a tempo finito”, in cui il tempo viene introdotto e la dissipazione accettata; se si lavora con coefficienti lineari di trasmissione del calore e si cerca la massima potenza si arriva ad un principio molto elegante, il principio di Curzon e Ahlborn; l’efficienza massima reale di una macchina termica è

Dunque questo è un caso perfetto per usare il concetto di termodinamica a tempo finito e conseguentemente la stima di Courzon e Ahlborn.
Qui sotto invece lo schema usato da uno dei tentativi di usare una batteria di Carnot efficace usando come accumulo una miscela di sali.
HITEC® è un sale per il trasferimento di calore registrato da Coastal Chemical che fornisce un mezzo di trasferimento di calore economico ed efficiente tra il vapore e il riscaldamento diretto. HITEC® appena preparato è un solido granulare bianco; una volta fuso, è di colore giallo pallido. HITEC® è una miscela eutettica di sali inorganici solubili in acqua di nitrato di potassio, nitrito di sodio e nitrato di sodio. È un mezzo di trasferimento del calore per il riscaldamento e il raffreddamento tra 300-1100°F (149-593°C), utilizzato nelle operazioni di processo, come il mantenimento della temperatura del reattore, la distillazione ad alta temperatura, il preriscaldamento del reagente e lo stampaggio rotazionale.
Quali sono le performances attese?
Carica. Il sale liquido stoccato nel serbatoio freddo a circa 250°C (482°F) viene pompato attraverso un riscaldatore elettrico che lo riscalda a 427°C (800°F) per essere stoccato nel serbatoio caldo. A questa temperatura, l’acciaio al carbonio a basso costo è adatto per i recipienti e le tubazioni.
Stoccaggio. Il sale è conservato in serbatoi di stoccaggio isolati, con perdite di calore tipicamente inferiori a 1°C al giorno. Questo tipo di serbatoio è stato utilizzato per decenni dall’industria dell’energia solare a concentrazione (CSP) negli Stati Uniti, in Spagna e in Nord Africa.
L’LSCC (Liquid Salt Combined Cycle) utilizza in genere un sale eutettico a basso punto di congelamento (142°C/288°F), come il sale Hitec®, per fornire mesi di standby senza il rischio di congelamento nei serbatoi. In questo modo si riduce anche la necessità di utilizzare il tracciamento del calore su tubazioni e valvole.
Dal punto di vista pratico un tale tipo di impianto assicura decine di MW per una intera giornata, dunque siamo in un intervallo al confine fra accumuli di lungo e breve termine ma tutto con tecnologie già esistenti e con efficienze di roundtrip che vanno dal 60 al 100%.
Insomma le batterie di Carnot sono un metodo di accumulo da considerare con grande attenzione.

Da consultare:
- Marguerre, F. Thermodynamic Energy Storage. U.S. Patent US2065974A, 29 December 1936.