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BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA'

Syndicate content La Chimica e la Società
Nell’Antropocene, l’epoca geologica attuale fortemente caratterizzata dalle attività dell’uomo, la Chimica ha il compito di custodire il pianeta e aiutare a ridurre le diseguaglianze mediante l’uso delle energie rinnovabili e dell’economia circolare.
Updated: 1 hour 35 min ago

Il piano UE per la Chimica.

11 November, 2025 - 16:16

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Nel recente mese di luglio, forse presi dalle vacanze vicine, è scappato ai commenti il nuovo piano per la Chimica della Commissione Europea.

Questo viene dopo quelli dei settori automobilistico e siderurgico. L’importanza del settore chimico viene oltre che dalla sua posizione, la quarta, nella classifica dei settori manifatturieri, anche dal numero di imprese europee in esso operanti, 29000, e dal numero di lavoratori, 1.200.000, che sostengono 19 milioni di Europei (le loro famiglie). Il piano affronta 3 importanti sfide: abbattimento dei costi energetici, concorrenza extra europea e debolezza della domanda, promuovendo responsabilità, sostenibilità ed innovazione.

All’interno del piano è anche presente una semplificazione normativa e legislativa delle sostanze chimiche con potenziamento dell’economia.

Sono 4 le misure proposte che compongono il piano.

La prima viene individuata come Resilienza di un’alleanza chimica europea per la identificazione dei siti produttivi critici, soprattutto con riferimento all’aspetto commerciale;

la seconda è finalizzata a disporre di risorse energetiche con norme chiare anche a protezione e sviluppo di nuove fonti, idrogeno in primis;

la terza è concentrata su incentivi e misure fiscali indirizzati alla decarbonizzazione;

la quarta punta alla riduzione delle emissioni dei PFAS.

Le misure secondo gli estensori del Piano dovrebbero garantire risparmi per 363 milioni di euro l’anno. Per quanto si riferisce alla semplificazione per ridurre i costi di conformità e gli oneri amministrativi per l’industria chimica, garantendo nel contempo un’elevata protezione della salute umana e dell’ambiente, rientrano in tale contesto varie iniziative.

La prima è la semplificazione delle norme relative all’etichettatura delle sostanze chimiche pericolose; seguono il chiarimento delle normative dell’UE sui cosmetici e l’agevolazione della registrazione dei prodotti fertilizzanti dell’UE mediante l’allineamento alle norme REACH.

È vero che per un’Europa forte, competitiva e sicura, abbiamo bisogno di un settore chimico fiorente, ma la protezione della salute delle persone e dell’ambiente deve andare di pari passo con il successo delle imprese.

Il rischio è che mediante il piano d’azione europeo per l’industria chimica si semplifichino le norme e si applichi una logica assistenzialistica industriale a danno della protezione della salute e dell’ambiente e della innovazione e circolarità.

Per approfondire:

https://single-market-economy.ec.europa.eu/document/download/e5006955-dd1c-45bc-8b7a-cfda71c67abf_en?filename=COM_2025_530_1_EN_ACT_part1_v6.pdf  il testo del piano

https://cen.acs.org/policy/trade/European-chemical-industry-action-plan/103/web/2025/07

un commento di C&E news

Translating lobby speak: What chemical industry’s ‘simplification’ plan really means

una critica ambientalista

Le Cose della Chimica e i loro Nomi.

7 November, 2025 - 16:43

1.Atomo

Silvana Saiello

La Chimica, questa sconosciuta!

Quali sono le difficoltà di comprensione della Chimica?

A questa domanda le risposte che ho ascoltato nel tempo sono le più disparate. Al di là della complessità della disciplina che spazia in amplissimi ambiti della ricerca e della conoscenza scientifica, esiste un problema di parole pronunciate troppo spesso senza conoscerne il significato.

La legittimazione da parte degli insegnanti a continuare a ripetere parole di cui lo studente ignori il significato legittima l’incomprensibilità della disciplina

Ci sono alcune parole di Chimica che sono utilizzate quasi quotidianamente da persone che ne ignorano il significato.

Ai miei studenti del primo anno di Università negli ultimi dieci anni del mio lavoro, proponevo la domanda che segue:

Quale immagine o idea si forma nella vostra mente quando ascoltate queste parole?

Le parole sono

1.Atomo,

2.Molecola,

3.Sostanza Semplice,

4.Sostanza Composta,

5.Formula Chimica,

6.Reazione Chimica,

7.Soluzione,

8.Solubilità

La scelta è caduta su queste otto parole perché se tutti gli studenti della mia classe avessero avuto consapevolezza di quali di queste parole conoscessero o meno il significato, il mio lavoro sarebbe stato molto semplificato. Purtroppo un numero molto molto limitato di studenti rispondeva in maniera adeguata, maniera che, come dicevo loro avrebbe potuto anche essere: Nessuna idea. Purtroppo questa risposta che denoterebbe una buona consapevolezza era un evento che non si è manifestato mai.

D’altro canto gli studenti hanno grande difficoltà a rispondere correttamente a una domanda la cui risposta è Zero o Nessuna cosache ritengo denoti una quasi completa assenza del pensiero critico, ma questa è un’altra storia e si racconterà un’altra volta.

La scelta è ricaduta su queste parole perché appartengono ai tre contesti nei quali è possibile inquadrare quasi tutti i concetti della Chimica.

Il contesto Macroscopico (Sostanza Semplice, Sostanza Composta, Soluzione, Solubilità) , quello Submicroscopico[1] (Atomo, Molecola) e quello Simbolico (Formula Chimica, Reazione Chimica).

Queste parole/concetti possono e devono richiedere livelli di approfondimento diversi durante il percorso scolastico da parte dei docenti, ma dal mio punto di vista, è possibile raccontarne una storia semplice anche ai primi stadi della formazione scolastica

Cominciamo da una parola molto conosciuta ATOMO.

Vorrei proporre una riflessione critica sulla costruzione di questo concetto non necessariamente in un percorso scolastico

E’ innanzitutto molto importante distinguere la conoscenza di una parola dalla conoscenza del suo significato. Troppo spesso questi due piani vengono sovrapposti e si confonde la conoscenza della parola con quella del suo significato.

Atomo: che cosa mi piacerebbe che una persona che ha concluso gli studi della scuola superiore conoscesse di questo “oggetto”.

Innanzitutto che è un oggetto talmente piccolo che non si riesce a vedere direttamente nemmeno con il più potente dei microscopi, che della sua esistenza si hanno solo prove indirette, che ogni Atomo “caratterizza” una Sostanza semplice[2]

Ma che cosa vuol dire caratterizza?

Stiamo mettendo nella stessa frase una parola/concetto che appartiene al contesto sub microscopico e una che appartiene al contesto macroscopico. Evidentemente ci deve essere una relazione tra i due contesti.

Cerchiamo di capire meglio.

Di Atomo si è cominciato a parlare nell’antichità quando i filosofi si cominciarono a chiedere se fosse possibile spezzettare gli oggetti in parti sempre più piccole. Ci sono state molte speculazioni di uomini di pensiero che si sono occupati di Atomi.

Slide 19 di Silvana Saiello

Molto interessante sarebbe discutere con gli insegnanti di lettere o filosofia sugli scritti nei quali si cominciava a parlare di Atomi un esempio per tutti il De rerum natura di Tito Lucrezio Caro

Quando parliamo di Atomi chiediamo agli studenti di credere a quello che affermiamo noi mentre dovremmo essere in grado di mettere gli studenti nelle condizioni di porsi domande e cioè di chiedersi e chiederci se abbiamo qualche prova indiretta o almeno qualche indizio della loro esistenza.

Prima di parlare di Atomi, però, bisognerebbe avviare una riflessione critica sulla natura particellare della materia discutendo il comportamento di un sistema gassoso.

Prima di parlare di Atomi dovremmo anche convincere i nostri interlocutori non solo che la materia è fatta di particelle [3] , ma anche che esistono le Sostanze semplici che sono diverse dalle Sostanze composte.

I contesti si avvicinano.

La mia proposta, nel percorso che proponevo ai miei studenti del primo anno del corso di laurea in ingegneria, parte da un racconto semplificato del ruolo che hanno avuto i numeri nella definizione delle leggi fondamentali della Chimica.

Chiamavo questa parte del percorso: I numeri la voce dei fatti.

Slide 23 di Silvana Saiello

Per gli interessati metto a disposizione le slide relative a questa parte del mio corso.

Alla prossima per la parola Molecola

[1] invisibile ai comuni microscopi

[2] Di ELEMENTO, si parlera’ in un’altra occasione

[3] Se vogliamo che un bambino della scuola primaria pronunci la parola Atomo in maniera consapevole dobbiamo innanzitutto convincerlo della Natura particellare della Materia, quindi discutere con lui su che cosa si intende per Materia e come mai ci siamo convinti che sia costituita da particelle piccole piccole che non riusciamo a vedere, con la consapevolezza che queste particelle non sono Atomi

[Un possibile percorso potrebbe essere quello di lavorare sull’evaporazione in particolare dell’Acqua]

Slide Atomo

7 November, 2025 - 16:29

Silvana Saiello

Il bicarbonato, un composto elusivo

2 November, 2025 - 13:08

Diego Tesauro

Il titolo di questo post può sembrare alquanto improbabile, in quanto tutti abbiamo fatto uso di bicarbonato (che per essere corretti nella nomenclatura IUPAC dovremmo chiamare idrogenocarbonato) di sodio per facilitare la digestione e ridurre l’acidità dovuta alla risalita dei succhi gastrici, come alternativa al lievito in ambiente acido oppure come detergente. Questo è vero se ci stiamo riferendo ai composti del bicarbonato in cui il catione è un elemento del primo gruppo della tavola periodica. Le cose cambiano se invece a neutralizzare le cariche sono cationi del secondo o del terzo gruppo o dei metalli di transizione. Nell’acqua, a seguito del ciclo del carbonio, collegato a quello del calcio nella crosta terrestre e nell’idrosfera, è l’anione più diffuso e la sua carica è neutralizzata dal catione calcio o magnesio. A fronte di questa larga disponibilità dell’anione, le cose cambiano se facciamo evaporare l’acqua oppure se l’allontaniamo per ebollizione. Il residuo che si deposita sulle nostre stoviglie quando riscaldiamo l’acqua infatti non è il bicarbonato di calcio (Ca(HCO3)2), ma il carbonato (CaCO3). Infatti a seguito del riscaldamento a temperature al di sopra dei 50°C il bicarbonato si trasforma in carbonato. La stessa reazione avviene quando la soluzione diventa satura e dovrebbe cominciare a precipitare. In realtà questo non avviene per la presenza dello ione calcio. La cristallizzazione, in particolare la formazione di composti ionici, è generalmente guidata da fattori termodinamici strettamente correlati all’energia reticolare, a cui contribuisce il legame interionico. Il bicarbonato di calcio, è un famoso esempio di questa comprensione classica perché le sue interazioni interioniche energeticamente sfavorevoli impediscono che venga isolato, lasciando elusiva la struttura di legame del calcio con il bicarbonato, come quelle di tutti gli altri metalli multivalenti. Recentemente sono stati sintetizzati cristalli di Ca(HCO3)2 migliorando la stabilità degli ioni bicarbonato in un ambiente a polarità relativamente bassa anziché in acqua liquida e successivamente ampliando la stessa strategia sono stati ottenuti cristalli di Sr(HCO3)2 e Ba(HCO3)2. I cristalli di bicarbonato di calcio sono stati ottenuti pompando CO₂ in una soluzione etanolica 6,8 mM di Ca2+ preparata sciogliendo CaCl₂·2H₂O in etanolo anidro con la basicità controllata con una soluzione 13,6 mM di NH3. CO₂ e H₂O hanno formato bicarbonato in presenza di alcali:

CO₂+H₂O+NH3→HCO3− +NH4+

Il bicarbonato è quindi precipitato con il calcio. La struttura del cristallo di bicarbonato di calcio è stata ottenuta tramite diffrazione elettronica 3D. I cristalli di Ca(HCO3)2 costuiti da legami ionici Ca–O presentano una struttura porosa diversa da quella delle tipiche strutture di carbonato e bicarbonato, indicando un’elevata forza di legame ionico teorica. Utilizzando calcoli quantistici, si rileva che il legame calcio–bicarbonato di per sé è relativamente stabile allo stato solido, mentre la polarizzazione del bicarbonato, indotta da metalli in mezzi ad alta polarità, come l’acqua liquida, aumenta il grado di instabilità del legame O–H, aumentando il suo carattere ionico, deprotonando il bicarbonato e impedendo la formazione di solidi di bicarbonato di calcio perché i solventi ad alta polarità contribuiscono a forti interazioni intermolecolari tra gruppi polari e stabilizzano le strutture polarizzate. In particolare, l’acqua liquida si traduce in una covalenza del legame O–H estremamente bassa. Mentre invece in solventi apolari il legame si stabilizza aumentando il suo carattere covalente (Figura1).

Figura 1 La diversa cristallizzazione del bicarbonato come bicarbonato e carbonato nelle condizioni di solvatazione di solventi polari ed apolari

La caratterizzazione è stata effettuata mediante la microscopia elettronica a scansione (SEM) e la microscopia elettronica a trasmissione (TEM). Le indagini microscopiche hanno mostrato che il precipitato presentava la tipica morfologia di particelle esagonali a forma di piastra (Figura 2) con un asse a 6 facce. La spettroscopia a dispersione di energia (EDS) ha rivelato che gli elementi in questi cristalli erano C, O e Ca. Inoltre i cristalli esagonali hanno mostrato modelli di diffrazione dei raggi X (XRD). La verifica che effettivamente fosse bicarbonato di calcio si basa oltre all’analisi vibrazionale IR, anche sulla spettroscopia 13C NMR, TG, diffrazione dei raggi X e tecniche correlate.

Figura 2 Immagini di microscopia elettronica a scansione (SEM (i–iii)) e di microscopia elettronica a trasmissione (TEM (iv)). La forma del cristallo è esagonale.

Questi risultati forniscono una struttura di riferimento per i sistemi metallo–bicarbonato e ampliano la comprensione classica dei legami metallo–bicarbonato, che potrebbe rivelare nuovi ruoli funzionali per carbonati e bicarbonati metallici.

L’ottenimento di cristalli di bicarbonato di calcio colma una lacuna storica sia nei libri di testo che nella ricerca contemporanea riguardante i composti ionici classici. La formazione di bicarbonato di calcio indica un percorso di formazione di composti ionici controllato dalla polarizzazione ionica attraverso associazioni di ioni solvatati, va oltre le considerazioni termodinamiche classiche, ispirando un quadro teorico per la valutazione della stabilità dei legami chimici localizzati e la successiva previsione delle tendenze di dissociazione o associazione delle specie ioniche.

Come esempio di frontiera, i cristalli di bicarbonato di calcio forniscono una finestra per misurare direttamente il legame multivalente omogeneo metallo-bicarbonato, che è impegnativo nelle strutture convenzionali ed è fondamentale per costruire campi di forza di interazione metallo-bicarbonato atomici accurati. Inoltre, considerando la stabilità teorica dei cristalli di bicarbonato di calcio, la loro struttura porosa può offrire nuove opportunità come quelle che hanno sancito il recente successo dei MOF.

Gli autori dello studio affermano che i cristalli di bicarbonato di calcio, come prodotti della mineralizzazione diretta tra ioni calcio e bicarbonato, ampliano i percorsi noti delle reazioni di mineralizzazione della CO2.  Data l’abbondanza di calcio nella crosta terrestre, tale conversione potrebbe ispirare percorsi artificiali rivoluzionari per la rimozione della CO2, ma la sua fattibilità dipenderà dalla regolazione della polarizzazione ionica, che richiede ulteriori studi. Ovviamente come spesso accade questo aspetto solo il futuro potrà dire se sarà foriero di effettive applicazioni o se risulterà, anche se importante, solo una curiosità scientifica.

Per approfondire:

K. Kong et al. “Synthesis of Crystalline Calcium Bicarbonate” J. Am. Chem. Soc. 2025, 147, 42, 38492–38499 https://doi.org/10.1021/jacs.5c12101

Allarme salviette.

26 October, 2025 - 11:50

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Salviette usa e getta, comode, utilizzatissime, sopravvalutate sul piano igienico ed ambientale. Che sia per rinfrescarsi, igienizzarsi le mani o pulire i bambini, le salviettine monouso umidificate sono una pratica comune, specie quando si è fuori casa. Il conto ambientale di questa comodità è però salato.

Sia pure etichettate come biodegradabili o come compostabili di fatto rappresentano sempre un pericolo per ambiente e per i nostri sistemi di smaltimento e riciclo, a partire dalle fognature urbane. Quando vi finiscono all’interno tendono alla frantumazione ed a rilasciare residui fibrosi e nanoplastiche che ostruiscono i condotti di smaltimento ed inquinano l’ambiente.

Il mercato globale delle salviette umidificate è previsto in crescita, con un valore stimato che dovrebbe passare da circa 21,65 miliardi di dollari nel 2025 a 28,21 miliardi di dollari. La crescita è guidata dalla praticità d’uso, dalla facilità nel mantenere l’igiene e dalla maggiore consapevolezza igienica, specialmente tra i genitori. 

Anche le salviette etichettate come biodegradabili perché contengono più cellulosa, contribuiscono all’inquinamento, perché non si dissolvono completamente: in questi prodotti è sempre presente una parte di fibre sintetiche, il che significa che quando disperse nell’ambiente diventano comunque causa di inquinamento. Tra queste anche i prodotti con l’etichetta che invita a smaltire il prodotto nel wc, come le salviette igieniche: il confronto con la carta igienica, usata come standard di riferimento da una recente indagine ha mostrato che le salviette igieniche si disgregano in misura minima, in media del 3%. Ciò significa che, quando gettate nel wc e finché non raggiungono gli scarichi fognari, le salviette non diventano poltiglia – come avviene invece per la carta igienica, che nel giro di mezz’ora nell’acqua mostra un altro grado di disgregazione. Con il rischio di intasare non solo le tubature del bagno ma anche di contribuire alla formazione di rifiuti che creano problemi negli impianti di trattamento delle acque.

Dopo il Regno Unito, che ha messo al bando le salviette umidificate contenenti plastica, anche la Spagna è pronta a mettere un freno all’inquinamento che deriva dall’uso di questi prodotti: la nuova norma riguarda sia le salviette umidificate – incluse quelle destinate ai neonati, all’igiene personale e alla pulizia della casa – contenenti plastica sia quelle etichettate come biodegradabili che “non significa che possano essere gettate nel WC, poiché la loro degradazione nell’ambiente è limitata” si legge nella bozza del decreto.

Per questo motivo, il nuovo regolamento spagnolo vieterà sia l’abbandono diretto nell’ambiente sia di gettare le salviette umidificate nel water, per ridurre al minimo il loro impatto sulle strutture igienico-sanitarie “poiché non si disintegrano completamente, causano ostruzioni nel sistema fognario, riducendone la capacità di ritenzione idrica e aumentando il rischio di tracimazioni, soprattutto durante episodi di forti piogge” insiste la bozza.

Questo problema non solo compromette le infrastrutture urbane, ma genera anche scarichi diretti di rifiuti nei fiumi e in altri corpi idrici, contribuendo all’inquinamento da microfibre e danneggiando gli ecosistemi, soprattutto quelli acquatici. Anche se biodegradabili o se indicano la possibilità di essere smaltite nel wc, il decreto sconsiglia comunque di gettarle nel water, per evitare problemi ambientali e tecnici, inclusi intasamenti e contaminazione delle reti di depurazione.

Nell’ambito del suo speciale su 119 prodotti per la pulizia della casa, nel 2019 la rivista francese 60 millions de consommateurs ha analizzato anche 12 marche di salviette disinfettanti, multiuso e per il wc, per cercare di capire la loro composizione, la sicurezza per i consumatori e l’impatto ambientale. Quello che emerge è abbastanza chiaro: si tratta di prodotti che non dovremmo mai acquistare. Su 12 referenze, comprate in negozi e supermercati francesi (ma alcune delle quali presenti anche sul mercato italiano) un prodotto ottiene C, sei D e 2 E. Si fa riferimento al Ménag’Score, sistema di classificazione che valuta i prodotti in base ad una serie di parametri: ingredienti, la loro proporzione e i rischi chimici che rappresentano per la salute e l’ambiente, assegnandogli un punteggio che va da A (il migliore) ad E (il peggiore).Gli ingredienti contenuti in alcune salviette per pulire e che il test segnala come pericolosi per la salute è l’ambiente sono sostanze allergizzanti, sospetti interferenti endocrini o probabili cancerogeni:

acrilcopolimeri: una famiglia di polimeri potenzialmente cancerogeni, mutageni e reprotossici

iodopropinil butilcarbammato: un fungicida e battericida, sospettato di essere un interferente endocrino

acido formico: un acido sospettato di essere interferente endocrino

benzalconio cloruro: un ammonio quaternario (disinfettante, tensioattivo), molto tossico, irritante e inquinante

didecildimetilammonio cloruro: un ammonio quaternario molto irritante e inquinante, Agisce danneggiando i doppi strati lipidici delle cellule, ed è ampiamente utilizzato come disinfettante, igienizzante, conservante e deodorante.

alcool grasso decil etossilato: è potenzialmente inquinante

benzoato di denatonio: tossico e inquinante (rende amaro il prodotto, è la sostanza più amara conosciuta, basta 1g in 2000 litri, 1mM, 1 milionesimo di mole per litro d’acqua per rendere sensibile l’amaro)

limonene: un profumo, sensibilizzante, irritante e molto inquinante, in natura è presente la forma (R). Quello sintetico è un racemo.

dietil ftalato (DEP): sospetto interferente endocrino,

Skeletal formula of diethyl phthalate

metilisotiazolinone: allergenico, irritante e inquinante

Considerato tutto ciò, gli esperti francesi concludono che Possono essere pratiche ma le salviette vanno assolutamente bandite dai nostri usi. Imbottite di sostanze problematiche e inquinanti, costituiscono un insopportabile disastro sanitario e ambientale.

I frutti climaterici

21 October, 2025 - 07:20

Claudio Della Volpe

La parola greca climatèrio s. m. [dal gr. κλιμακτήρ, propr. «gradino», der. di κλῖμαξ «scala»; per il sign., cfr. climaterico] (dalla Treccani), si riferisce in genere alla vita sessuale di uomini e donne, e in particolare al momento della vita in cui si ha riduzione o scomparsa della fertilità nei due generi con tutta una serie di eventi annessi.

Tenete presente che la seconda k della parola greca si conserva nell’inglese, in cui si scrive il sostantivo climacter o l’aggettivo climacteric, NON climateric, mentre in italiano la seconda k è scomparsa.

Ma quello di cui vi parlerei oggi non è il climaterio umano ma quello vegetale; infatti nella maturazione dei frutti sulla pianta o dopo la raccolta si verificano dei fenomeni molto interessanti cui fa riferimento questo termine.

I frutti climaterici sono quelli che anche dopo essere stati raccolti producono una significativa quantità di etilene, un gas ben conosciuto ai chimici per il suo ruolo nell’industria dei polimeri, ma anche ai biochimici per il suo ruolo di ormone vegetale.

Un secondo avviso lo metterei per la confusione che a volte si fa nei giornali o nel parlar comune fra etilene ed ossido di etilene, due sostanze affatto diverse e riportate qui sotto!

Etilene

Ossido di etilene

L’ossido di etilene è una sostanza estremamente reattiva (basta considerare la tensione dell’anello a tre termini!) e considerata cancerogena almeno in Europa, tanto da non essere più usata in determinati contesti; tuttavia dato che continua ad essere usata in altri paesi, per esempio come antibatterico e fumigante, i suoi residui possono rimanere nei prodotti anche alimentari poi importati; dunque attenzione a questa distinzione. Un contenitore metallico di un TIR reso sterile tramite ossido di etilene potrebbe diventare una sorgente di inquinamento dei prodotti poi trasportati a meno di non ripulirne le superfici con altri gas.

Torniamo all’etilene, che pure è esplosivo o asfissiante ma non tossico o cancerogeno, tanto da potere essere usato come gas anestetico.

È un intermedio chiave nell’industria polimerica, ma anche come dicevo un ormone, dunque una sostanza di controllo delle piante, di origine del tutto naturale in quel caso.

Bella questa centralità della piccola molecola di etilene sia nell’attività umana che in quella naturale, questa duplice natura di una molecola che è poi un fenomeno comune ed importante in Chimica. Ne abbiamo parlato parecchie volte e avrebbe fatto contento Guido Barone ed anche Hegel o Marx.

L’etilene non agisce direttamente su un singolo enzima, ma stimola la sintesi di diversi enzimi, tra cui cellulasi e poligalatturonasi, che degradano le pareti cellulari durante i processi come la maturazione dei frutti e l’abscissione (ossia la caduta di foglie e frutti). L’etilene regola anche la propria stessa produzione, essendo prodotto dall’enzima ACC-ossidasi che converte l’ACC (acido aminociclopropancarbossilico, che è un amminoacido NON proteico, cioè che non si trova nelle proteine) in etilene.

 acido ammino-ciclo-propan-carbossilico

Quali sono i frutti che producono più etilene e quali sono quelli più sensibili al suo effetto? C’è stato molto lavoro su questo tema a cavallo del nuovo millennio e una review particolarmente citata è quella del 2002 di Kader, elencata in fondo, da cui possiamo estrarre le tabelle seguenti e anche lo schema temporale dell’azione dell’etilene. I frutti che risentono dell’azione dell’etilene si chiamano frutti climaterici; ovviamente l’etilene può incrementarne la maturazione ma anche portarla oltre i limiti di uso utile del frutto o del vegetale, dunque è importante regolare con attenzione le condizioni di utilizzo pratico, od eventualmente associare altri ormoni gassosi ad azione antitetica, oppure usare comuni molecole come ossigeno e CO2, già presenti in ambiente la cui concentrazione agisce sul ciclo dell’ormone, come indicato dopo, anche perché la curva di azione è complessa come si vede qui sotto.

Lista di comuni frutti e vegetali climaterici e non-climaterici.

E tenete presente che ci sono frutti che producono poco etilene ma sono molto sensibili alla sua azione e anche frutti non climaterici, ossia che non continuano a maturare una volta raccolti dalla pianta, poiché non hanno la capacità di produrre etilene in modo autonomo. Invece di maturare dopo la raccolta, questi frutti si possono deteriorare se acquistati acerbi. Esempi comuni includono agrumi (arance, limoni), frutti di bosco (fragole, ciliegie, lamponi), l’uva, l’ananas, i melograni, le olive, e anche alcuni ortaggi come cetrioli e peperoni.

Potreste trovare elenchi non completamente coincidenti perché l’azione e la produzione dell’etilene dipendono dal contesto sperimentale usato.

In modo parallelo ma opposto all’etilene il metil-ciclopropene si comporta da ritardante della maturazione e dunque può essere usato per mantenere fiori e frutti maturi prevenendo il loro deterioramento

In conclusione attenzione a come mettete la frutta e i vegetali insieme in frigo o nella dispensa, perché potreste avere effetti inattesi e non necessariamente vantaggiosi.

Dopo tutto sono ancora vivi quando li conserviamo.

Consultati:

Kader, A.A. (2002) Postharvest Technology of Horticultural Crops. 3rd Edition, University of California, Agriculture and Natural Resources, Oakland, Publication 3311, 535 p., Kader, AA.

Etilene: l’ormone gassoso

Fai clic per accedere a ethylene_101.pdf

La scienza della Cacio e Pepe

17 October, 2025 - 10:11

 Ivan Di Terlizzi*

Il lavoro illustrato in questo post da uno degli autori ha vinto il premio IGNobel per la fisica 2025

Pochi piatti rappresentano l’essenza della cucina italiana quanto la Cacio e Pepe. Tre ingredienti, pasta, pecorino e pepe, per una ricetta semplice solo in apparenza. Chiunque abbia provato a prepararla sa che bastano pochi secondi di distrazione e la crema può trasformarsi in un disastro culinario. Da fisici italiani in Germania, io e i miei colleghi abbiamo spesso l’abitudine di cenare insieme durante i freddi weekend invernali, e le chiacchierate a tema scientifico di fronte a un piatto di pasta fumante non mancano mai. Nei nostri menu mancava però sempre un piatto: la Cacio e Pepe. Cucinarla per tante persone era infatti un problema. La gestione del calore diventa infatti progressivamente più difficile man mano che le quantità di pasta aumentano, e sprecare una gran quantità di prezioso pecorino portato dall’italia facendo magari una figuraccia davanti ad amici di varie nazionalità era un rischio che non volevamo correre. È proprio discutendo di queste difficoltà che abbiamo realizzato come la facilità con cui una salsa inizialmente liscia e omogenea si aggruma al variare delle condizioni esterne potesse indicare la presenza di una transizione di fase. Spinti dalla curiosità, abbiamo deciso di costruire un apparato sperimentale che ci permettesse di studiare lo stato della salsa in diverse condizioni fisiche.

Per condurre gli esperimenti abbiamo riprodotto la preparazione della salsa con strumenti da cucina comuni (bilancia, frullatore a immersione, pentolino e termometro digitale), ma con un controllo di temperatura più preciso. Il riscaldamento è stato realizzato con un sistema sous-vide modificato, in cui il pentolino contenente la salsa veniva immerso in acqua a temperatura controllata, sostenuto da una piattaforma di legno su misura che ne impediva il galleggiamento e assicurava un trasferimento di calore uniforme. Per l’analisi visiva della salsa, i campioni venivano disposti in una piastra di Petri su un supporto trasparente realizzato con semplice pellicola da cucina, illuminati dal basso da una lampada da tavolo e fotografati con uno smartphone montato su treppiede. Questo allestimento casalingo ma preciso ci ha permesso di osservare la formazione dei grumi e di costruire un diagramma di fase della Cacio e Pepe.

Da buoni fisici teorici, non potevamo accontentarci di uno studio puramente sperimentale. Durante le nostre discussioni ci siamo resi conto che un modo possibile di interpretare i risultati era quello offerto dalla fisica della separazione di fase, che qui a Dresda è particolarmente popolare. Gli argomenti di ricerca sono ovviamente più “seri”: dalla formazione degli organelli senza membrana nelle cellule alla comparsa delle placche beta-amiloidi nella malattia di Alzheimer. Nel nostro caso, invece, abbiamo a che fare con una miscela a base di pecorino romano che contiene proteine, grassi e sali minerali sospesi in una matrice solida. Quando viene grattugiato e mescolato con acqua, solitamente con l’acqua di cottura della pasta, queste componenti devono riorganizzarsi per formare un’emulsione stabile, cioè un sistema in cui minuscole goccioline di grasso sono disperse in acqua grazie all’azione stabilizzante delle proteine, in particolare le caseine. Tuttavia, se l’acqua è troppo calda, oltre i 65°C, le proteine denaturano e perdono la capacità di stabilizzare la salsa che inevitabilmente si rompe. Poichè il pecorino inizia a fondere intorno ai 55°C, la Cacio e Pepe riesce quindi solo entro una stretta finestra di temperatura compresa tra la fusione del formaggio e la denaturazione delle proteine. In questo equilibrio delicato l’amido gelatinizzato dell’acqua di cottura svolge un ruolo chiave, mantenendo la salsa omogenea e rendendola stabile anche a temperature più alte.

Il sugo cacio e pepe è composto da pecorino, pepe e acqua arricchita di amido. (a) Pasta con emulsione di pecorino e acqua arricchita di amido, condita con pepe nero macinato fresco. (b) Istantanee della miscela che costituisce la base del sugo, ovvero formaggio e acqua con diverse quantità di amido, a diverse temperature. In particolare, confrontiamo l’effetto dell’acqua da sola; dell’acqua di cottura della pasta che trattiene parte dell’amido (ottenuta cuocendo 100 g di pasta in 1 litro d’acqua); e dell’acqua di cottura della pasta “risottata”, ovvero l’acqua di cottura della pasta riscaldata in una padella per far evaporare l’acqua (fino a ridurne il peso totale di tre volte) e concentrare l’amido. All’aumentare della concentrazione di amido, gli aggregati di formaggio diminuiscono di dimensioni e si formano a temperature più elevate. La regione qui denominata “Fase Mozzarella” è caratterizzata da enormi grumi di formaggio simili alla mozzarella sospesi nell’acqua, risultanti da un’estrema aggregazione delle proteine durante il riscaldamento

Per studiare l’effetto dell’amido, nei nostri esperimenti abbiamo utilizzato amido in polvere, gelatinizzato in un pentolino per controllarne al meglio la quantità. In questo modo siamo riusciti a caratterizzare il diagramma di fase temperatura–amido della salsa Cacio e Pepe. Da questo si evince che esiste una quantità critica di amido, circa l’1% in massa rispetto al formaggio, al di sotto della quale, a temperature superiori ai 65 °C, l’aggregazione delle proteine avviene in modo drammatico, formando un unico grande grumo. Abbiamo deciso di chiamare questa condizione la “Mozzarella Phase”, e ci piace scherzare dicendo che questa è l’unica circostanza conosciuta in natura in cui la mozzarella rappresenti un risultato negativo. Al di sopra di questa soglia, i grumi sono molto più piccoli, persistendo fino temperature vicino ai 100 °C. Oltre il 4% di amido la rende la salsa un po’ troppo densa una volta raffreddata. Abbiamo quindi individuato una quantità ottimale tra il 2% e il 3%, che garantisce la minima dimensione dei grumi senza compromettere la consistenza della salsa.

Anche se non era nelle nostre intenzioni iniziali, la tentazione di tradurre queste osservazioni in una ricetta è stata troppo forte. Per due porzioni abbondanti, con circa trecento grammi di pasta e duecento grammi di pecorino, la quantità giusta di amido è di circa cinque grammi. Poiché l’acqua di cottura, anche se concentrata, raramente ne contiene a sufficienza, usiamo amido in polvere gelatinizzato, sciogliendo l’amido di patata o di mais in 50 grammi d’acqua e scaldandolo dolcemente fino a quando la miscela diventa traslucida e viscosa. Una volta ottenuto il gel, lo si può diluire con 100 grammi d’acqua a temperatura ambiente e frullare con il pecorino grattugiato fino a ottenere una crema omogenea, liscia e stabile. Questa stabilizzazione a basse temperature rende la salsa resistente all’aumento di calore.

Non può ovviamente mancare il pepe, possibilmente tostato in padella a partire dai grani e poi pestato al mortaio. Nel frattempo la pasta, cotta in poca acqua salata, va scolata al dente e lasciata riposare per un minuto, così da evitare che il calore eccessivo destabilizzi la salsa. Ricordiamo infatti che i nostri esperimenti sono stati condotti cercando di essere il più adiabatici possibile, per studiare il diagramma di fase in condizioni di equilibrio. Aumentare la temperatura della salsa troppo rapidamente può provocare effetti cinetici che ne destabilizzano la struttura nonostante la presenza dell’amido. La mantecatura deve avvenire a fuoco spento, con la padella non troppo calda, unendo la crema di formaggio e, se serve, poca acqua di cottura per regolare la consistenza. Sebbene non indispensabile per un cuoco esperto, questa ricetta rende senz’altro più semplice l’esecuzione di questo grande classico.

Possiamo però dire con certezza che, grazie ad essa, la Cacio e Pepe è tornata a essere una protagonista dei nostri menu serali tra gruppi numerosi di ricercatori.

In alternativa all’amido, si può usare una piccola quantità di citrato trisodico, un sale alimentare che stabilizza efficacemente le emulsioni a base di formaggio chelando il calcio contenuto nella caseina e impedendo la sua aggregazione. Il diagramma di fase con il citrato mostra nuovamente una regione in cui la “Mozzarella Phase” appare, ma a partire dal 2% in massa di citrato rispetto al formaggio (nel nostro caso circa 4 grammi), ogni traccia di grumi scompare. Questo mostra come l’effetto “chimico” del citrato sia diverso da quello più “fisico” del network di amido, che stabilizza la miscela in modo meccanico, formando una rete che intrappola le goccioline di grasso e proteine limitandone l’aggregazione. Il citrato permette quindi di ottenere una crema perfetta senza traccia di grumi, ma modifica leggermente il sapore del formaggio, probabilmente a cause delle proprietà basiche dello ione citrato, motivo per cui rimane a nostro parere una curiosità più che un ingrediente autentico.

Concludo dicendo che la ricerca scientifica non dovrebbe essere vista come contrapposta alla tradizione e alla spontaneità che rendono cucinare un’attività così ispirante, ma come un modo per capire meglio ciò che mangiamo. Le nonne romane che preparano la Cacio e Pepe perfetta non parlano di separazione di fase o di denaturazione delle proteine, ma hanno imparato empiricamente a controllare temperatura e acqua amidosa. La differenza è che oggi possiamo descrivere quantitativamente quei gesti, e magari usarli per insegnare chimica e fisica in modo più gustoso.

* Ivan Di Terlizzi è ricercatore al Max Planck Institute for the Physics of Complex Systems di Dresda. Si occupa di fisica statistica di non equilibrio e termodinamica stocastica; in biofisica lavora all’intersezione tra fisica dei sistemi complessi e genomica.

https://pubs.aip.org/aip/pof/article/37/4/044122/3345324/Phase-behavior-of-Cacio-e-Pepe-sauce

Gli autori del paper sono tutti fisici che hanno lavorato presso il Max Planck Institute for the Physics of Complex Systems di Dresda, dove si sono conosciuti. Attualmente Ivan Di Terlizzi, Matteo Ciarchi e Vincenzo Maria Schimmenti, tutti biofisici, lavorano ancora a Dresda. Giacomo Bartolucci, biofisico, è all’Università di Barcellona. Daniel Maria Busiello e Davide Revingas, entrambi fisici statistici, sono ricercatori all’Università di Padova. Fabrizio Olmeda, il romano del gruppo, è biofisico all’Istituto di tecnologia austriaco (ISTA) a Vienna. Infine, Alberto Corticelli, fisico della materia condensata, sta intraprendendo un percorso di ricerca all’intersezione tra neuroscienze e meditazione.

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